Fidarsi è bene, diffidare è meglio., ciò toglieva il sonno al giovane capo dei Siccidi (gli antichi abitanti della Valsesia); Jago, appena eletto dal consiglio del’ alleanza delle tribù Insubres (le tribù che fondarono Medhalnd ovvero Milan ). Dopo alcuni secoli di pace con i signori Etruschi, a cui avevano dato la loro piena fiducia, incrementando gli scambi commerciali, fornitori dell’ottimo vino, di oggetti preziosi e di una cultura comune sia nel costume, sia nei riti magici, marcati dalle unioni con le fanciulle etrusche dalla pelle ambrata e vellutata, donne dalla minuta figura, sovente le etrusche avevano gli occhi chiari, dai riflessi grigi al verde, di più ancora erano le chiome ricce e corvine, parevano avere il piumaggio nero e lucente come quello dei corvi reali, uccelli prediletti come la grande Aquila , dalle tribù Siccidi. Nonostante tutto le unioni erano rare e avvenivano solamente se le coppie s’amavano veramente e non per gli interessi delle tribù. Jago e Sasja si erano uniti da un anno, nell’intimità, Jago la chiamava: “occhiverdi”. Non era certamente Sasja a turbare il suo biondo compagno, che contraccambiava chiamandolo “chiomadoro” inquieto lo era veramente aleggiava nell’aria nella loro “masùn”. “Chiomadoro, perché sei cosi triste e pensieroso, non capisco, da quando mio padre è tornato a Felsina, non so? Non mi sembri più lo stesso? Per favore non fare così, non riesco a seguirti. È forse perché non abbiamo fatto i rituali a War-Ade? “Cosa c’entra scomodare gli dei “. Disse Jago con seriosità. “Lascia stare mia nonna Nerys”! – “Non è la mia discendenza, semmai sarà la tua”, troncò bruscamente. Non avevano mai litigato, lei si mise a piangere, dopotutto aveva solo 18 anni e scegliere di vivere con Jago in quei luoghi incantati ma gelidi, che erano le valli alpine, molto diverse dalle sue colline non era semplice per Sasja. Ma il sospetto sul padre di lei, permaneva; Silius era un uomo felice , quando pose sui loro capi la corona di fiori di rosmarino e promise che presto li avrebbe raggiunti là fra i picchi dove vivono i capricorni e le aquile, aveva sentito raccontare che le genti delle montagne erano dei giganti e non temevano le tempeste e i fulmini di Bell, ma li sapevano deviare con le loro pertiche fatte con materiali sconosciuti. Naturalmente questa era una scusa che aveva detto ai figli prima di partire, non disse però che un senatore della vicina Roma era stato a fargli visita, portando doni; olio e capretti e sopratutto del sale. “Allora presto ti recherai là dove vivono i giganti”? Sono così ansioso chissà quali meraviglie mi racconterai al tuo ritorno”. Di questo incontro Silius non ne aveva mai accennato né a Jago ne alla figlia e come ogni mattina partiva per la valle, dicendo che sarebbe rientrato al tramonto. La gente di Jago sorrideva al suocero vestito in un modo diverso da loro e gentili rispondevano a tutte le sue domande, curioso come un gatto, entrava nelle fucine, nei magazzini, voleva provare a lanciare i pilum, utilizzare i corti archi da caccia, soppesare la consistenza degli umboni degli scudi di cuoio dei Siccidi, erano le misteriose doppie asce che intimoriva Silius, strumenti affascinati e temibili; come le rampe ma lui non lo poteva sapere che potevano essere usate anche in battaglia, asce e rampe; i montanari, di cui non si separavano mai, li usavano per abbattere alberi, e condurre poi i tronchi lungo i vivaci torrenti, poi le rampe corte venivano adoperata per posare i tronchi incastrandoli uno sopra l’altro per la costruire le solide pareti delle loro masun . Silius però non s’accorse di essere, seguito, osservato, ascoltato da un falco, capace di percepire la minima vibrazione, sapeva intuire dallo sguardo, dagli occhi, dai movimenti e dalle espressioni se un umano era d’animo buono e sincero, con il piumaggio lucido chiaro come i capelli di Jago, era il confidente e leale compagno di caccia di Jago, il falco entrò come uno spirito nella notte di Samhain nella camera di Jago, gli comunicava il resoconto della giornata della spia Silius, in un modo tutto particolare conosciuto solamente da Jago, facoltà avuta dalla nonna Nerys, che era una Banshèe, quando tutti dormivano il querulo pii-eeh del falco diventava per Jago un racconto preciso e dettagliato: “”l’Etrusco, il padre della tua donna è una spia al servizio dei romani i quali insieme stanno per conquistare le Alpi e peggio ancora vogliono sottomettervi e rendervi schiavi”” Sarebbe stato meglio prendersi una pugnalate che sentire il resoconto del suo fido compagno di caccia. Il dubbio che nutriva si è rilevata in una tremenda verità, un grave pericolo stava per abbattersi, quella di una guerra. Jago non poteva più esitare, ma come fare? Di certo non poteva affrontare il padre di lei, nemmeno scacciarlo o peggio ancora consegnarlo al giudizio del consiglio dei druidi, lo avrebbero accusato di favoreggiamento. Nemmeno provocarlo a battersi in duello? L’atroce dilemma doveva avere un altra soluzione, sopratutto accettabile per Sasja, che ignara di tutto dormiva tranquilla abbracciata al suo uomo. “Vai pure amico fedele” disse Jago al suo falco. Si tastò la fronte con il palmo della mano destra e svanì, per trovarsi in davanti alle caldaie del fiume nel luogo dove ogni anno gli dei lo chiamavano, per il rito della rigenerazione dell’acqua. Alzando le braccia e gli occhi al cielo stellato, disse: “Nerys! Tu che ora siedi al consiglio del potente Bell, toglimi questo atroce pensiero, che mi costringe ad uccidere il padre della mia giovane innocente amata”. Il Vapore formato dal salto della caldaia si fece sempre più vicina e trasformandosi in un viso dolcissimo, parlò al cuore del suo nipote: Jago è il tuo nome che ti fu imposto fra gli uomini, Jago è pure il nome dell’ardore del tuo amore per Sasja e il tuo popolo, sarà lo stesso Silius a liberati la mente e da ogni minaccia”. La profezia si avverrò, Silius al spinto della bramosia di portare agli alleati romani un segno della sua sudditanza, rubò la verga di Jago, quella con cui i druidi controllano i fulmini, e volendo provare, carpire la potenza misteriosa che si celava all’interno, lo alzò proprio verso l’innocente velo che si trovava sopra l’intruso e la saetta di Bell incenerì il malcapitato suocero. La punizione divina venne attribuita ad una disgrazia naturale, Accorsero tutti nel sentire il rombo, Sasja si svegliò, ma nessuno osò dire che quel mucchio di ceneri erano di suo padre, dissero che il fulmine colpì un montone, che stava leccando, (probabilmente del sale) o il sudore rimasto attaccato alla verga magica, il boato cancellò dalla mente della ragazza la presenza del padre, che non lo cercò mai più, Jago la prese in braccio chiamandola “Occhiverdi”. Era l’anno 480 a.C. , Jago decretò al consiglio delle tribù Insubres la sana diffidenza verso chi non si conosce a fondo anche se presenta stessi usi e stessi costumi. Qualche anno successivo le tribù Insubres insieme ad altri Celti invasero la grande pianura padana ed scacciarono gli Etruschi verso la penisola degli italliottis, come i Greci chiavano tali popolazioni pre romane: figli di mucca, pare che sia un eufemismo di allora, per dire che tali popolazioni si nutrivano dei vitelli e del latte dei loro armenti.
Jaffa.