Una madre aveva un bimbo malato, molto malato. Non sapendo più a che santo votarsi, si rivolse a “là Gatìna”, una banshèe, un’anziana donna del paese, che si diceva avesse poteri magici. La vecchia stava ritta davanti al fuoco, in silenzio, all’improvviso alzò il capo:”ùn pitù dì vost lè ciama-mè strìaa! Ì voui nut essì ciammà ‘nsì ! “. Intanto aveva preso una scodella, vi aveva messo acqua pura ed aggiunto erbe, biascicando parole sibilline. Il bimbo, che prima strillava senza pace, bevve la mistura, smise di piangere e si addormentò. “là Gatìna” era stata fatta crescere da una zia, avendo perso entrambi i genitori prima di poterli conoscere. A scuola non l’avevano mandata. Si arrangiava come poteva: filava la lana per pochi soldi, raccoglieva un po’ di legna per venderla. A vent’anni aveva sposato ‘l Pepin, ‘l bùscarìn; per un po’ di tempo le cose erano andate bene, poi lui aveva cominciato a frequentare cattive compagnie. Una sera che aveva bevuto troppo, lo riportarono a casa morto accoltellato. Aveva avuto tre figli: due morti piccini, di tisi, l’unica figlia rimasta le regalò due nipotini, ma anch’ella morì giovane, mentre stava nascendo un altro bambino. “là Gatìna” crebbe i ragazzi, che se ne andarono poi in Francia per lavorare e non li vide più. Restò sola al mondo, piccola, scarna, con due occhiaie che le segnavano lo sguardo, infagottata in quattro stracci che non avevano forma, divenne lo spauracchio del paese. La buona gente l’aiutava, quella cattiva sparlava di lei attribuendole le morie del bestiame, le malattie e l’infertilità. Era quasi mezzanotte: una notte limpida e gelida, con tutte le stelle appena sopra la testa, come sono le notti d’inverno in Valsesia. In una stanza stretta e poco illuminata agonizzava una povera donna; ogni tanto passava il curato, ma gli altri ignoravano quella misera. “Ho sete…”, sussurrava e “là Gatìna” le porgeva un sorso di caffè caldo, accompagnato da parole di conforto, “Raccomandatevi al Signore, Bigì”. Anche lei non aveva più nessuno, non aveva figli, suo marito era in prigione. Tanti anni prima una sera, all’osteria, ubriaco, aveva accoltellato un suo amico boscaiolo ….’l Pepin.
(Racconto di un’anziana di Cervarolo)